Tra maggio e giugno otto squadre di attivisti di Greenpeace hanno intrapreso spedizioni in aree montane di tre continenti per prelevare campioni di acqua e neve che sono stati analizzati in laboratorio al fine di verificare la presenza dei pericolosi PFC (sostanze chimiche pericolose). Le concentrazioni maggiori sono state trovate nel lago di Pilato, sui Monti Sibillini, tra Umbria e Marche, negli Alti Tatra, in Slovacchia e sulle Alpi, nel parco nazionale svizzero. Le altre spedizioni sono state portate a termine nella Patagonia cilena, in Cina, Russia, Turchia e nei Paesi scandinavi.
Tra gli attivisti artefici del rapporto “Impronte nella neve” anche Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia e originario di San Pietro al Tanagro. “Abbiamo trovato tracce di PFC nei campioni di neve raccolti in tutte le località oggetto d’indagine – afferma Ungherese – Preoccupa che questi inquinanti pericolosi e persistenti si trovino persino nei luoghi più remoti del pianeta“.
I PFC sono impiegati in molti processi industriali per la produzione di beni di consumo, una volta rilasciati nell’ambiente si degradano molto lentamente, restando nella forma originaria per diversi anni e disperdendosi così su tutto il globo. Alcuni PFC possono causare danni al sistema riproduttivo e ormonale, favorire la crescita di cellule tumorali e sono sospetti agenti mutageni.
“È paradossale pensare che aziende che dipendono dalla natura per il loro business rilascino volontariamente nell’ambiente sostanze chimiche pericolose – commenta Giuseppe – Le aziende outdoor devono dare l’esempio e impegnarsi per un ambiente più pulito assumendo un impegno credibile e a breve termine per eliminare completamente i PFC dai processi produttivi”.
– redazione –