Pesa come un macigno la denuncia fatta dall’ingegnere nucleare e imprenditore Antonio Alberti di Viggiano nel corso di un incontro sull’impatto ambientale causato dalle attività petrolifere tenutosi ieri pomeriggio a Padula e organizzato dall’associazione Artis onlus e da alcuni attivisti valdianesi pentastellati.
Come ben sappiamo, in seguito al filone d’inchiesta avviato dalla Procura della Repubblica di Potenza, che riguarda presunti illeciti nella gestione dei reflui petroliferi al Centro Oli Val d’Agri di Viggiano e che ha condotto all’arresto di 5 persone tra funzionari e dipendenti di Eni, lo stesso impianto è stato posto sotto sequestro. In termini numerici, il 60% del greggio lavorato a Taranto proviene proprio dalla Val d’Agri e, dal giorno del sequestro, questo flusso si è interrotto.
“Credo che il Centro Oli non sia fermo” denuncia l’energy manager di Viggiano.
“Ho visto delle autobotti che uscivano dal Centro Oli cariche (lo si può facilmente capire dagli indicatori di livello) e le ho seguite. – ci spiega l’ingegner Alberti – Hanno fatto un giro lunghissimo per arrivare al pozzo di Viggiano. Invece di fare 10 km ne hanno fatti quasi 50, sono arrivate all’inizio della stradina che porta al pozzo e lì non ci hanno più fatto proseguire. Quindi quelle autobotti cariche sono andate verso il pozzo. Cosa trasportavano e cosa sia accaduto dopo io non posso saperlo. Abbiamo visto anche rientrare delle autobotti vuote. Non sappiamo da dove provenissero“.
“Quello che chiediamo sono maggiori controlli da parte dei Carabinieri del NOE e della Magistratura” è l’appello di Alberti.
Le sue parole, che concedono nonostante tutto il beneficio del dubbio, aprono uno scenario allarmante sulla vicenda.
Intanto domani i giudici del Tribunale del Riesame tratteranno il ricorso presentato da Eni con cui si chiede una rivalutazione del provvedimento di sequestro.
– Chiara Di Miele –
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