L’esperienza ai fornelli, o più semplicemente quella a tavola, si è digitalizzata.
Non basta più cavarsela in cucina per stupire i propri commensali o essere buone forchette per apprezzare a pieno un tagliere di salumi, un tradizionale primo piatto o un sofisticato dessert. Il piacere va condiviso, si sa. “Chi non beve (e mangia) in compagnia è un ladro o una spia”. E nell’era del social networking, rendere amici (e sconosciuti) partecipi, quando non si è insieme, creando engagement, è più immediato che mai. Prima, durate e dopo i pasti.
Ecco che, da affamati, si desiste al morso per assecondare la tentazione di fotografare ciò che stiamo per mangiare. Quello di scattare e postare la foto del pasto è il trend incontrastato dei flussi social per la facilità di aggregare le persone intorno alla tavola “imbandita” su Instagram: i piatti devono essere buoni, ma soprattutto belli. Da mangiare con gli occhi! Bisogna, quindi, curare nei dettagli la composizione estetica scegliendo pietanze colorate, l’adeguata mise en place, l’inquadratura, la luce e il filtro migliore. Il tutto in pochi secondi, così da instagrammare al volo colazione, pranzo, merenda o cena che sia. Il fenomeno, poi, si replica durante l’happy hour con gli amici: birre, spritz e cocktail fotografati a turno dai presenti e postati in contemporanea, taggandosi vicendevolmente.
Spiegata la “teoria”, si possono analizzare i milioni di scatti dedicati al cibo e ricondurli tutti (o quasi) a dei filoni corrispondenti ad altrettanti utenti tipo e ad altrettante marche temporali.
I primi sono gli scatti che ritraggono gli ingredienti a disposizione: chi si metterà ai fornelli riepiloga visivamente gli alimenti, sistemando e ordinando sul tavolo, secondo criteri cromatici o di forme, quello che userà. È qui che si fa più spesso product placement: l’azienda x contatta l’influencer y per collaborare e promuovere insieme il prodotto z.
La marca temporale successiva, a cui corrisponde un’ulteriore tipologia di foto, è quella relativa alla preparazione di una pietanza e alle relative procedure: un singolo frame o un foto collage, spesso utilizzato dai foodblogger, dei passaggi che porteranno all’agognato risultato finale.
Gli scatti più intuitivi e meno studiati sono quelli di chi non usa i social come veicolo promozionale e che ritraggono l’istante prima di assaporare: il sottotesto è chiaro e si condensa, più o meno, nella frase “Io mangio qualcosa di più buono di quel che mangi tu”. Il “tiè”con relativa gestualità, almeno, ce lo risparmiamo.
– Gianpaolo D’Elia –
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